Enrico Mascelloni

 

Scultura lingua esplosa

La scultura, già lingua morta per Martini un secolo fa, è sopravvissuta a fasi di sconvolgimenti multipli grazie a strategie che chiamerei “esplosive”. Il termine non va inteso in senso letterale, sebbene un movimento come la Land Art non ha esitato a far saltare in aria con la dinamite, allo scopo di rimodellarle, porzioni di territorio nemmeno tanto limitate. Gli allestitori di opere di Land Art sono tra le rare vittime sul lavoro del milieu artistico, in qualche caso travolte da opere di dimensioni megalitiche. In altri casi, con meno gusto del grandioso, ci si è limitati a inserire nell'opera gli oggetti più eterogenei: televisioni in trasmissione, balle di fieno, culi di plastica e così via. Volendo localizzare in un'immagine l'enorme varietà della scultura dell'ultimo mezzo secolo (installativa, tecno-mediale, povera, iperbarocca...) non può venire in mente che la discarica, cosiccome per quella antica sarebbe di rigore la gipsoteca. Una rara fusione tra le due è avvenuta una trentina d'anni fa in territorio già sovietico, laddove era possibile osservare in uno stesso luogo la lenta rovina di generatori elettrici, carrozzerie di Volga e busti di Lenin.

Franco Ciuti ha scelto presto e con testarda coerenza una strategia capace di permettere alla scultura una vita ancora scintillante, senza per questo servirsi di object trouvée. Egli appartiene alla generazione che apprende il mestiere, nei tardi anni '50, con gli ultimi maestri di una scultura ancora tradizionale, almeno nei materiali e nell'approccio se non proprio nelle forme. In una Roma crocevia internazionale di molte novità, si apre al nuovo, ma diversamente da compagni di strada come Kounellys e Pascali evita le tentazioni concettuali. Per lui l'opera è ancora un corpo a corpo con il materiale e con la forma, senza scorciatoie. Si tratta tuttavia di disgregarla, la forma, in qualche caso di spellarla (letteralmente, come Tensione del 1994), comunque di manometterla. E tutto questo assumendo come punto di partenza la limpida perfezione della geometria (Mare del 1964). L'operazione era e resta semplice, appunto limpida, a suo modo quasi classica, ma prevede un perfetto controllo della materia, sino a trasformare porzioni di blocchi geometrici in improvvise fughe biologico-barocche. Dal suo primo maestro, che fu anche uno dei maggiori scultori del secolo passato, Leoncillo, Franco Ciuti si allontana alla svelta, percependo subito che gli ultimi capolavori di quello erano carichi di un'inattualità feroce, sia pur grandiosa. Il mondo, anche quello dell'arte, si sta aprendo a una joy de vivre inaudita che chiude il capitolo della guerra e delle sue conseguenze; l'arte, al di là delle icone popolari, può misurarsi con la semplicità sublime dei materiali industriali levigati e esaltanti. Ciuti entra senza riserve in questa storia, inoltre, come gesto esistenziale che suppone una latenza estetica, abbandona Roma dove i tramonti sono rossi come la ruggine del tempo e sceglie Los Angeles, dove i profili delle cose sono taglienti anche di notte. Tuttavia, della lezione di Leoncillo, di una decadenza sontuosa che sfrangia in un rosso da incendio l'imperturbabile cielo di Roma, come fanno le sue materie esplose nel corpo geometrico a cui s'insubordinano, conserva il perfetto controllo su ogni piega che assume la materia.
E tuttavia, dopo una fase di sperimantazioni multiple, avverte che non è più essa il nocciolo della “questione scultura”. L'informale è ormai morto e per Ciuti si aprono prospettive diverse. Servirà ripetere che egli appartiene senza riserve a una nuova stagione dell'arte, che può permettersi un rapporto meno drammatizzato e ossessivo con il mondo, senza per questo ridursi a illustrarlo. La scultura di Ciuti, tra dominio del mestiere e apertura a una modernità che si autosupera incessantemente, cattura con naturalezza, senza supporti teorico-ideologici che non gli sono mai appartenuti, un elemento che è costante in tutta la storia dell'arte e tuttavia assolutamente centrale ella nuova epoca, sospesa tra tecnologie scatenate e viaggi nello spazio: la luce.
E' la luce, ritengo, la forza della sua scultura. Egli ne è tra i più talentosi evocatori, senza per questo assemblare fonti luminose estranee alla compattezza, che ribadisco classica, di ogni suo lavoro. La luce appartiene alla materia. La luce domina l'impatto visivo di ogni sua scultura, e nelle ultime arriva persino a rapportarsi alla fonte che illumina il nostro pianeta. I suoi dischi in terracotta e piombo condensano l'idea di sole, e dell'astro che illumina le nostre vite non raccolgono soltanto la forma, ma anche la densità compatta che emana energia. Ognuno degli innumerevoli materiali che ha impiegato (terracotta, piombo, plastica...) qualsiasi forma abbia assunto nello spazio (verticale, orizzontale, articolata...) è scelto e si configura come per catturarvi una particolare dimensione della luce.
Se la scultura è ormai una lingua esplosa, quella di Franco Ciuti esplode in energia luminosa.
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                                        Enrico Crispolti